Quando facevo il chierichetto il buon Don Lino Masat aveva istituito un libriccino nel quale segnava presenze e assenze alle funzioni religiose. Dieci lire ogni presenza, cento lire di penale ogni assenza. Il totale era sempre in rosso: per fortuna non aveva inventato l’obbligo di restituzione quando il conto era in passivo. Grande spirito commerciale don Lino, era una delle quattro figure importanti negli anni 60: il prete, il medico, il sindaco, il maestro. Ma anche abile manipolatore, capace durante la confessione, sacramento cui era d’obbligo frequentare ogni settimana, di farti sentire in colpa anche per quello che non avevi fatto. Una partita dare ed una avere che quasi sempre volgeva a suo favore, un po’ quello che accade con le banche oggi.
Così è stato il mio primo approccio con il denaro.
Nello stesso periodo però, la mamma mi mandava nell’unico negozio di alimentari esistente, la bottega de Barlò, per comprare quel poco che non veniva prodotto in casa: lo zucchero, il caffè, la pasta, l’olio. Tutto era sfuso e veniva confezionato in sacchetti di carta, ancora non c’era la plastica, molto meglio.
Non c’era nemmeno lo scontrino e, cosa curiosa, non c’era nemmeno l’uso del denaro, o almeno io non utilizzavo il denaro. Anche qui un libretto. Un piccolo quaderno a righe rosse e azzurre con una colonna nella quale veniva riportato il valore di quanto acquistato. Ma la cosa più curiosa è che poi, comunque non circolava denaro. Quando in casa c’erano uova in eccesso venivano portate in bottega, quantificate e sottratte al dovuto. Una volta al mese quanto “Bepi casaro” faceva il formaggio una parte veniva portata in bottega.
Stavamo facendo il baratto. Niente interessi ne attivi ne passivi, niente commissioni di banca, niente tassazione su un conto corrente. Tutto veniva autogestito con sapienza, solidarietà e mutualità. Così avveniva anche per la necessità di manodopera nei lavori della campagna: lo scambio mutualistico, lo chiameremo ora. Mi sono sempre posto tutta una serie di domande sul denaro, via via sempre più complesse e complicate sia di tipo tecnico che filosofico.
Per quando riguarda l’aspetto filosofico ora interpreto il denaro come una forma di energia che deve essere indirizzata verso i soggetti, i prodotti, le organizzazioni che rispecchiano gli stessi valori in cui crediamo, che agiscono in maniera etica rispettando le persone e l’ambiente, che hanno a cuore un benessere diffuso: la felicità.
Da un punto di vista tecnico ho capito che il denaro non è un patrimonio esclusivo di una zecca di stato, tanto meno di una istituzione privata come accade oggi in Europa.
Il denaro è come il sangue: se non circola fa ammalare l’organismo a cui appartiene. Il denaro va fatto circolare ma in maniera costruttiva, mettendo sempre più consapevolezza in ogni nostra scelta di acquisto o investimento.
Noi siamo di fatto soci delle aziende, dei negozi delle banche, di tutti coloro cui diamo i nostri soldi.
Ogni volta che facciamo un acquisto stiamo indirizzando il nostro denaro, permettendogli di trasformarsi in linfa vitale a favore delle aziende che abbiamo scelto, che anche grazie al nostro contributo potranno ingrandirsi, prosperare, e redistribuire ricchezza sul territorio.
E quindi dobbiamo decidere. Dobbiamo scegliere chi vogliamo sostenere, consapevoli che con i nostri soldi possono essere fatte delle scelte importanti. Possiamo aiutare tante persone che soffrono, possiamo migliorare tante situazioni difficili. Possiamo promuovere un’economia etica, circolare e consapevole.
Ma dobbiamo anche prendere consapevolezza che il denaro non è una prerogativa delle banche. Anche noi possiamo immettere denaro nel mercato, denaro con una funzione etica e solidale. Ma di questo parleremo in maniera approfondita in un prossimo futuro.