Un paio di settimane fa il TG Sole 24 di Casa del Sole TV ha trasmesso un servizio (qui) sulla discriminazione che le persone positive all’Hiv sono ancora costrette a subire, sebbene la loro malattia sia divenuta negli anni sempre più curabile. Nello specifico, il servizio riporta un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca americano Gallup su più di 55 mila persone in cinquanta paesi, secondo il quale circa il 40% degli interpellati si dichiara favorevole alla segregazione dei sieropositivi sul lavoro e sei persone su dieci a un test Hiv obbligatorio prima di ogni assunzione.
Ciò ha indotto l’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) a prendere una posizione molto critica sul risultato del sondaggio, evidenziando la scarsità di informazioni che ruota intorno alla malattia in questione (articolo completo qui).
Chidi King, capo del Servizio dell’uguaglianza tra donne e uomini, della diversità e dell’integrazione (Gedi) dell’Oil, ha dichiarato:
«Il mondo del lavoro ha un ruolo chiave da svolgere. Lo stigma e le discriminazioni sul luogo di lavoro emarginano le persone, spingono le persone sieropositive verso la povertà e minano l’obiettivo del lavoro dignitoso».
Dall’Hiv al Covid-19 il passo è breve ma divergente. Mentre ci si indigna – a ragione – della discriminazione nel caso dell’Hiv, ci si dimentica della stigmatizzazione e della ghettizzazione che ogni giorno di più subiscono i cosiddetti “no-vax”, termine affibbiato dal mainstream a chi, in piena coscienza, ha deciso di non fare del proprio corpo una cavia da laboratorio, e della “scienza farmaceutica” un dogma di fede. Leggendo i bugiardini dei sieri in questione e il foglio del consenso informato, appare evidente che non si conoscono con certezza le conseguenze che il cosiddetto “vaccino” (a mio avviso una terapia genica sperimentale) potrebbe dare nel breve, medio e lungo termine.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’Hiv è tenuto sotto controllo dai farmaci e che anche il virus Sars-Cov-2 lo sarebbe, se tutti si inoculassero il siero magico. A costoro rispondo invitandoli a guardare ai risultati ottenuti dalle terapie “tradizionali” (di certo più collaudate) che hanno salvato decine di migliaia di vite. Mi riferisco alle cure domiciliari adottate, per fortuna, da molti medici, compresa la plasmaferesi del defunto professor De Donno.
I pochi casi di insuccesso sarebbero stati causati dal fatto che alcuni pazienti hanno deciso di contattare il medico quand’era ormai troppo tardi, evidentemente perché vittime di mala informazione e mala sanità…. ricordate le prime raccomandazioni degli “esperti” per la “vigile attesa”?
Inoltre, se il “vaccino” protegge dal Covid-19, come si spiega che i “pluri-dosati” debbano ancora portare le mascherine e possano ancora contagiarsi e contagiare? Cosa si nasconde dietro questa evidente contraddizione? Non sarà che con l’emergenza sanitaria vogliano abituarci a una forma di “libertà differenziata”, nella quale chi si fa il tagliando periodico è libero di circolare (e di contagiare e contagiarsi), mentre i riottosi sono additati al pubblico ludibrio? E’ esagerato il paragone con la tessera del Fascio?