In copertina: estratto di una rappresentazione del Mito della Caverna di Platone (4edges – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=73850232)
Il racconto del “mito della caverna” contenuto nell’opera filosofica “La Repubblica” sembra la fotografia della situazione attuale.
Platone descrive una caverna profonda, stretta e in pendenza, simile ad un vicolo cieco. Sul fondo ci sono gli uomini, che sono nati e hanno sempre vissuto lì; sono seduti ed incatenati, rivolti verso la parete della caverna: non possono liberarsi, nè uscire, né vedere quel che succede all’esterno. Fuori della caverna vi è un mondo normalissimo: piante, alberi, laghi, il sole, le stelle. Però, prima di tutto questo, proprio all’entrata della caverna, c’è un muro dietro il quale ci sono persone che portano oggetti sulla testa. Da dietro il muro spuntano solo gli oggetti che trasportano e non le persone: è un po’ come il teatro dei burattini. Poi c’è un gran fuoco, che fornisce un’illuminazione differente rispetto a quella del sole.
Ecco, noi siamo stati per molti anni, come questi uomini della caverna, costretti a fissare lo sguardo sul fondo, che svolge la funzione di schermo: su di esso si proiettano le immagini degli oggetti portati dietro il muro. La luce del fuoco, meno potente di quella solare, illumina e proietta questo mondo semi -vero. Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per la verità, così come le voci dietro il muro: in realtà è solo l’eco delle voci reali. Gli uomini della caverna avranno un sapere basato su immagini e passeranno il tempo a misurarsi a chi è più bravo nel cogliere le ombre riflesse, nell’indovinare quale sarà la sequenza: è l’unica forma di sapere, a loro disposizione ed il più bravo sarà colui il quale riuscirà a riconoscere tutte le ombre.
Supponiamo ora, che uno degli uomini incatenati riesca a liberarsi: subito si volterebbe e comincerebbe a vedere fuori gli oggetti portati da dietro il muro non più riflessi sul fondo della caverna. Poi comincerà a uscire ma piuttosto riluttante perché infastidito dalla luce a cui non era abituato: quando finalmente uscirà si sentirà completamente smarrito e disorientato. Comincerà a guardare indirettamente la luce solare, man mano che la vista si abitua guarda gli oggetti veri, le stelle e poi perfino il sole.
Questo racconto scritto oltre 2000 anni fa, sembra uno spaccato della situazione attuale. Per anni ci hanno parlato dei benefici dell’Europa Unita, dell’Euro come una moneta per rafforzare l’economia, della globalizzazione, ci hanno imposto sacrifici per superare una crisi provocata da altri, ci hanno detto che bisogna tagliare la spesa pubblica per rispettare i vincoli europei e in virtù di questo abbiamo tagliato le spese nella sanità, nella scuola, nell’assistenza. Ci hanno convinto che spesso era giusto lasciare il raccolto sugli alberi, perché era più conveniente acquistare da altri paesi.
Ci hanno convinto che non si può avere altra moneta al di fuori dell’euro, quasi un refrain del primo comandamento “non avrai altro dio al di fuori di me”.
Poi è arrivato “coronavirus” che ci sta costringendo ad uscire dalla caverna e giorno dopo giorno ci costringe a vedere la realtà vera, non quella del mainstream dominante. La tutela dei confini ritorna ad essere un elemento positivo, da delocalizzazione si inizia a parlare di rilocalizzazione, la famiglia nella quale siamo costretti a rimanere, riacquista valore, il famoso vincolo del 3% sulla base del quale ci hanno detto dovevamo fare sacrifici, è immediatamente caduto. Abbiamo capito che tagliare la sanità significa non essere più nelle condizioni di garantire il diritto alla salute. Abbiamo capito che la Germania e la Francia se ne fregano di ogni vincolo posto dalla UE mentre lo pretendono per gli altri, che questa Europa è alla frutta.
Ma soprattutto, spero che stiamo capendo che le catene che ci hanno tenuti legati dentro la caverna, sono il debito.
Ci hanno messo nelle condizioni di indebitarci per sostenere le nostre piccole aziende durante la crisi, di sopportare una tassazione inverosimile, senza ribellarci, di accettare come dovute le vessazioni di uno stato attraverso ex Equitalia e ora Agenzia per le riscossioni. Molti si sono suicidati per questi motivi, (dal 2012 al 2017 ci sono stati 878 suicidi per “motivazioni economiche” ma potevano essere il doppio: altri 608, stretti tra debiti e burocrazia, ci hanno provato senza riuscirci.
Moltissimi hanno aderito alle varie rottamazioni nella speranza che il futuro fosse più roseo.
Ora il coronavirus ci sta costringendo ad uscire dalla caverna, a guardare la realtà. Anche noi siamo disorientati, ma la realtà che ci si pone davanti pur nella sua drammaticità ci fa capire che non dobbiamo perdere la speranza, che non tutto è finito, anzi, siamo solo all’inizio di grandi cambiamenti. Che dobbiamo prendere il toro per le corna.
Che anziché vergognarsi del debito, dobbiamo ribellarci al debito e che con possiamo aspettare sia il governo a farlo. L’ultimo decreto appena uscito, per certi aspetti è semplicemente ridicolo: rinviare le scadenze del 16 marzo al 31 maggio è un’offesa all’intelligenza comune.
Concedere 2 anni in più al fisco per effettuare i controlli sul 2015, esprime in modo inoppugnabile come questo governo considera gli 8 milioni di partita IVA: solo evasori, e vacche da mungere.
Dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti che ci offre la legislazione vigente per tutelarci. Per questo abbiamo dato vita al servizio di tutela legale.
Nel nostro piccolo, pur se appena nati, vogliamo, come “Comunità Etica”, offrire un servizio concreto e immediato: per annullare le cartelle esattoriali, per ridiscutere i mutui con le banche, per definire una volta per tutte le situazioni di sovraindebitamento e ricominciare a vivere. Perché la felicità è un nostro diritto, un diritto che dovrebbe essere inserito nell’articolo uno del dettato costituzionale.